Vivace o iperattivo? Facciamo chiarezza!
Tante sono le insegnanti che lamentano l'eccessiva vivacità dei propri alunni. Come tanti sono i genitori che considerano i propri figli come "impossibili" da controllare. Scopriamo che cos'è l'iperattività.

Tante sono le insegnanti che lamentano l’eccessiva vivacità dei propri alunni. Come tanti sono i genitori che considerano i propri figli come “impossibili” da controllare. E allora inizia a diffondersi la parola “iperattivo” come un tormentone estivo. Dare un’etichetta a qualcuno richiede pochissimo tempo, ma questa resta addosso per tanto, troppo tempo! Mettiamo un pò d’ordine.
L’iperattività o deficit d’attenzione (meglio conosciuta come ADHD,cioè Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder)è un disturbo dell’età evolutiva: comporta difficoltà di attenzione, di concentrazione e di controllo degli impulsi. Queste derivano dall’incapacità del bambino a regolare il proprio comportamento in funzione del trascorrere del tempo, degli obiettivi da raggiungere e delle richieste dell’ambiente. L’ADHD non è :
-una fase di crescita del bambino;
-il risultato di un percorso educativo fallimentare;
-“cattiveria” del bambino.
Si tratta di un disturbo eterogeneo e complesso che nel 70-80% dei casi, coesiste con uno o più altri disturbi (fenomeno definito “comorbilità”), rendendo più grave la sintomatologia e più complessa sia la diagnosi sia la terapia.
I disturbi più frequentemente associati con l’ADHD sono:
-disturbo oppositivo-provocatorio;
-disturbi specifici dell’apprendimento (dislessia, disgrafia, ecc.);
-disturbi d’ansia;
-disturbo ossessivo compulsivo;
-disturbo bipolare.
Per normalizzare il comportamento di soggetti particolarmente gravi, spesso si suole utilizzare, insieme a terapie comportamentali (esempio A.B.A., guarda cos’è), a percorsi psicoterapeutici e ad alcuni farmaci nei quali è contenuto il metilfenidato o l’atomoxetina, un percorso alimentare personalizzato ( uno studio del 2007 suggerisce, infatti, l’esistenza di un legame tra il consumo di additivi alimentari e Adhd).
La sindrome da deficit di attenzione e iperattività è stata descritta per la prima volta da George Still nel 1902. La terminologia con la quale si è descritta la condizione si è modificato nel corso del tempo.
Nella prima edizione del “Manuela diagnostico e statistico dei disturbi mentali” (DSM) del 1952 si definiva ” disfunzione cerebrale minima”.
Nel DSM II( 1968) divenne ” reazione ipercinetica nell’infanzia”.
Nel DSM III (1980) la si definiva come “disturbo da deficit d’attezione (ADD), con o senza ipeattività”.
Nel DSM IV (1994) si è suddivisa la diagnosi in tre sottocategorie: tipo disattento, tipo iperattivo/impulsivo, tipo combinato.
L’uso di stimolanti è stato descritto per la prima volta nel 1937. Nel 1930,la miscela di benzedrina e anfetamine è stato il primo farmaco approvato per il trattamento dell’ADHD negli Stati Uniti. Il metilfenidato è stato introdotto nel 1950, e la destroanfetamina nel 1970.
La sindrome da deficit di attenzione e iperattività interessa il 6-7% dei giovanissimi al di sotto dei 18 anni di età, quando la diagnosi viene fatta attraverso i criteri del DSM-IV.Quando viene diagnosticata attraverso i criteri formulati dall’ICD-10 (International Classification of Diseases) , la stima è tra l’1% e il 2%.I bambini del Nord America sembrano presentare un tasso della condizione più alto rispetto ai loro coetanei dell’Africa e del Medio Oriente, tuttavia, si ritiene che queste differenze siano attribuibili ai diversi metodi diagnostici utilizzati nelle diverse aree del mondo, piuttosto che una differenza reale.
Il disturbo viene diagnosticato tre volte più frequentemente nei bambini piuttosto che nelle bambine. Le cause sono diverse: o nelle bambine è meno frequente la presenza di questa condizione, oppure non viene diagnosticata affatto.
Il disturbo si ritiene abbia una causa genetica. Altri fattori sono legati alla morfologia cerebrale, a fattori prenatali e perinatali o a fattori traumatici.
Quando definiamo un bambino ( e di conseguenza un adulto) come “iperattivo” cerchiamo, quindi, di dare un peso alle nostre parole. Come abbiamo constatato, l’ADHD è una cosa molto seria. Porta a delle conseguenze importanti e spesso vengono utilizzati farmaci che intervengono su quelle aree del cervello coinvolte nel disturbo.
Sembra una banalità porre l’attenzione su una corretta utilizzazione dei termini ma non è cosi. Facilmente si tende a non dare peso alle parole, a minimizzare la maggior parte delle cose, ma quando si ha a che fare con un individuo in crescita, bisogna prestare ancora più attenzione.
Quel bambino più chiacchierone, più giocherellone, più sveglio, più pronto, più rumoroso, più vivace…è semplicemente un bambino. Un bambino che non riesce a restare seduto sulla sedia, un bambino che fatica a concentrarsi, un bambino che ha problemi di apprendimento, un bambino che ha comportamenti aggressivi, un bambino che non riesce ad evitare di toccare qualsiasi cosa sia nel suo campo visivo, un bambino che ride senza un apparente motivo, un bambino che proferisce commenti inappropriati, un bambino che non ha il controllo delle proprie inibizioni… è un bambino iperattivo.
Ricordiamoci che sì, il disturbo esiste ( e non come vogliono far credere alcuni che sia un’invenzione per somministrare farmaci ai bambini e agli adolescenti), sì è necessrio intervenire da subito con terapie su terapie, sì non è facile per le famiglie crescere un bambino ADHD, ma prima di tutto non perdiamo di vista il BAMBINO.
La Scuola, le strutture educative e riabilitative rappresentino un valido supporto per i genitori di questi bambini. E soprattutto gli operatori specializzati si impegnino per far sì che l’infanzia di questi “iperattivi” sia per quanto possibile salvaguardata. I percorsi educativi tanto possono fare in questo caso: mai permettere alla medicalizzazione di rimpiazzare il trattamento educativo.
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