Posso farlo anche io!

Autonomia e disabilità spesso sono in antitesi, quasi un tabù per la nostra società: associare ad una persona con disabilità la possibilità di fare qualcosa "da solo" è impensabile. Eppure siamo certi che sia una realtà tanto lontana? In che misura un soggetto con disabilità può essere autonomo?

Autonomia e disabilità spesso sono in antitesi, quasi un tabù per la nostra società: associare ad una persona con disabilità la possibilità di fare qualcosa “da solo” è impensabile. Eppure siamo certi che sia una realtà tanto lontana? In che misura un soggetto con disabilità può essere autonomo?

Il compianto neurologo Sacks ne “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello”, scrive:”Si può vedere una stessa persona come irri­mediabilmente menomata o così ricca di pro­messe e di potenzialità”. Credo che proprio questo sia il fulcro della riflessione che si vuole portare avanti.

Ognuno di noi ha delle potenzialità che aspettano solo di essere sostenute ed espresse, perché tale discorso non possa essere ritenuto valido anche per le persone con disabilità? L’opinione comune li considera impossibilitati ad accedere a qualsiasi forma di autonomia a causa della propria condizione invalidante ed è qui l’enorme sbaglio. Spesso proprio chi ha una disabilità si rivela essere ricco di risorse e capace di arrivare a traguardi impensabili.

Un esempio è senza dubbio la storia dello scienziato Stephen Hawking, un modello di ispirazione per tutti. Ma è proprio di questi giorni la notizia della laurea conseguita da Sammy Basso affetto da progeria (patologia genetica).

Sicuramente le famiglie di persone diversamente abili nel supportare i propri figli a prescindere dalla propria condizione: quindi, nel concreto, cosa devono e possono fare? Impegnarsi affinché siano integrati nel proprio contesto sociale.

Insistere perché abbiano il docente specializzato durante le ore scolastiche; iscrivere i propri figli ad attività extrascolastiche; coltivare in loro una passione e/o interesse;far in modo che i limiti della propria condizione non siano una condanna ma uno stimolo ad impegnarsi.

E’ ovvio dover fare i conti con la patologia di cui un soggetto è affetto, dato che una condizione invalidante di natura fisica è diversa da una di tipo cognitivo:l’autonomia in quel caso deve camminare su binari diversi. Ad esempio: un bambino con una debolezza cognitiva, può benissimo giungere alla tappa importante del vasino come tutti gli altri coetanei.

Naturalmente la sua conquista dell’autonomia sarà più lenta ed avverrà in un momento diverso rispetto “alla norma”, ma non deve escludersi a priori la possibilità di poter far sì che questo avvenga. Ecco perché la famiglia deve essere supportata da professionisti per accompagnarli in questo percorso.

Ma può accadere che la famiglia non sia adeguatamente pronta e disposta a permettere che i propri figli pervengano ad un livello soddisfacente di autonomia. Ciò è dettato da ignoranza e spesso dal non voler sottostare allo sguardo degli altri (nel 2018, una persona diversamente abile suscita ancora curiosità ed occhiate indiscrete).

Quindi si tende in questi casi,a non permettere ai propri figli di partecipare ad attività ricreative accettando solo le sole ore di supporto specializzato a scuola. Ciò porta a danni consistenti: quante occasioni perse! Quante possibilità di migliorare la propria condizione sprecate!

Gli operatori del sociale possono fare tanto: devono sensibilizzare sempre di più l’opinione pubblica su tale tematica. Inoltre, devono far capire a tutte le famiglie che l’autonomia per i propri figli è possibile ed esiste. Tutti possono imparare a far da soli, alcuni possono diventare atleti, insegnanti e perché no anche scienziati.

Si deve capire che tutti hanno le medesime possibilità. Occorre solo che lo si capisca. I limiti sono quelli che ci poniamo noi. Una condizione di disabilità deve essere vista solo come un modo “diverso” di affrontare la vita. Ma non per questo meno valida.

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