Barriere per l’integrazione? Non solo architettoniche

Riflessioni sulla mentalità dell'integrazione. Cosa serve per avere un buon risultato? Ecco la nostra esperienza.Riflessioni sulla mentalità dell'integrazione. Cosa serve per avere un buon risultato? Ecco la nostra esperienza.

Cosa vuol dire integrazione?

Questa domanda è difficile, ha probabilmente infinite risposte, e io proverò ad analizzarne qualcuna che dopo una delle serate usciaMo mi è venuta in mente. Teoricamente l’integrazione è quell’insieme di processi atti a includere l’individuo all’interno di una società. Riflettendo su quella serata mi è parso che ci siamo, l’obiettivo dell’integrazione è stato raggiunto.

Perché? Quali sono stati i motivi? Iniziamo con una premessa: “usciaMo“, che è una serata in cui ci si ritrova in uno dei luoghi più frequentati dai giovani modenesi e si beve qualcosa tutti insieme. Già così potrebbe sembrare un ottimo veicolo di integrazione. Questo però non basta. Non basta perché ci si è limitati a creare le occasioni e le condizioni più adatte per un’effettiva inclusione delle persone in una società; manca però un’altra componente che contribuisce in modo decisivo alla completezza dell’integrazione delle persone con disabilità: la relazione con persone esterne al gruppo.
L’uomo è un animale sociale, non si può prescindere da questa assunzione di base. La riuscita di un buon processo di integrazione dipende dunque da più attori nella scena. Non solo noi che ci impegniamo a portare fisicamente le persone con disabilità nei luoghi di aggregazione, ma anche tutto il resto della società, delle persone che si trovano li a godersi il proprio tempo libero.

In questi termini entrano dunque in gioco altri attori per arrivare allo scambio di una relazione reciproca, grazie alla quale i ragazzi con disabilità aprono le porte a queste persone, al patto che esse si mostrino interessate. Quest’ultimo aspetto è molto importante. L’interesse di queste persone “esterne”, se manifestato in modo adeguato, è fondamentale.

Le barriere architettoniche e l’assistenza effettiva nei luoghi sono relativamente semplici da superare o ottenere (si tratta, dopo tutto, di servizi o caratteristiche strutturali), ma il resto è decisamente più complesso poichè si tratta di un approccio e di un modo di essere di alcune persone. Una mentalità che riesca a valorizzare chi ci sta vicino senza scadere nei due estremi: il pietismo da una parte e la fredda indifferenza dall’altra.
Gli amici che abbiamo incontrato fino ad ora sono stati estremamente spontanei, e insieme a InTandem sono riusciti a valorizzare al meglio le qualità di ogni ragazzo, sapendo ascoltare e contemporaneamente divertirsi insieme ai ragazzi.
Ecco dunque cosa ha contribuito alla buona riuscita di un processo d’integrazione: ognuno di noi deve aprirsi alla disabilità, ciò non deve essere una prerogativa solo di chi lavora in questo ambito, per arrivare ad un coinvolgimento di tutte le persone nella vita della comunità.