Occhi sbagliati

Cosa si può capire e provare dando la possibilità agli altri di trasmetterci o comunicarci i loro sentimenti?

Questo articolo è stato scritto da Chiara Folloni, 25 anni, laureata in Psicologia. Ama ascoltare e aiutare gli altri, e per questo ha fatto diverse esperienze di volontariato anche in Africa.

Mi viene incontro una bimbetta di circa 8 anni, tutta trionfante, portando in braccio il fratellino di circa un anno e mezzo. Voleva a tutti i costi farmelo conoscere. Marco. Lo prendo con la piacevole sensazione materna di quando si stringe un piccolo.

Lo guardo e inizio a sorridergli, cercando di provocare in lui la stessa espressione. Marco mi fissa dritto negli occhi, immobile, in un modo strano che rende difficile l’interazione. Lo guardo bene:ha due occhioni grandi, il viso un po’ schiacciato, e ho la sensazione che ci sia qualcosa che non capisco. Continuo a giocare con lui e a coccolarlo ma, senza che me ne renda conto, i miei pensieri iniziano ad andare in direzioni spiacevoli. Marco vuole tornare dalla sorellina. La osservo mentre lo abbraccia: ci sono gioia e amore, puri e sinceri, nei suoi occhi. Così come in quelli dei loro genitori. Loro non hanno i miei pensieri. Mi rendo improvvisamente conto che sto provando tristezza e compassione per loro, che devono affrontare questa realtà difficile.

Immediatamente provo pena per me stessa, per essere caduta nella tentazione allettante degli stereotipi, del pensiero comune per cui chi ha un figlio con disabilità è sfortunato. Senza tener conto che invece è un essere umano, unico e speciale, in grado di arricchire una giornata o di far arrabbiare qualcuno come chiunque. Quello che non si capisce fa paura e si tende ad allontanarlo, senza mai provare a comprenderlo. Questa esperienza mi ha aperto gli occhi, almeno in parte. Spero che chi legga possa fare altrettanto.

Marco ha la sindrome di Down, ma non è lui ad essere sbagliato, sono gli occhi delle persone.