L’eccesso di attenzioni da parte della madre

Quando si parla di cura parentale e di diade madre bambino, molti problemi possono scaturire dalle poche attenzioni date alla cura o ai maltrattamenti. In pochi riflettono ancora sull'effetto che anche il contrario, cioè l'eccesso di attenzioni e cure, può avere sullo sviluppo del bambino.


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Tante volte la cronaca ci riporta notizie di minori non accuditi dal propri genitori, abbandonati a se stessi e lasciati soli senza una guida che li indirizzi e li orienti. Ma può esistere anche il contrario? L’affetto di una madre può rappresentare un problema per il proprio figlio? A volte si.

Grazie ai diversi studi sulla maternità e sul feto, sappiamo che durante la gravidanza la struttura cognitiva della donna si modifica in modo molto incisivo: come se non solo il fisico ma anche la mente si preparasse all’evento della nascita.

Molti studiosi dell’evoluzione ritengono che il neonato, venga al mondo ancora immaturo e per tale ragione ha bisogno di lunghe cure materne prima di essere indipendente, cure che durano più a lungo di qualsiasi altro mammifero sulla terra. Il ‘costo’ è quello di una estrema dipendenza dalla madre, che lo deve allattare e nutrire, con una dedizione a tratti faticosa. Questo processo di cura-affetto-amore-allevamento è proprio alla base dell’attaccamento ( di cui parla Bowlby).

Può accadere però che queste attenzioni siano eccessive. La parola chiave per parlare di eccesso di attenzioni materne, “ipermaternage” che gli anglosassoni definiscono “over-protection”, è sicuramente BISOGNO: infatti se un atteggiamento materno equilibrato mette al centro dell’attenzione i bisogni del neonato prima e del bambino poi, un rapporto diadico sbilanciato invece tiene conto dei bisogni della madre prima di tutto.

Secondo quanto asserito da Marisa Malagoli Togliatti, prof.ordinario di Psicodinamica dello Sviluppo e delle Relazioni Familiari e Psicoterapeuta familiare,i bambini già a tre mesi sono capaci di costruire interazioni che comprendono oltre la madre altre figure significative, come il padre o i nonni o chi si assume il ruolo di caregiver.

Esplorare il mondo attraverso le relazioni interpersonali è un processo evolutivo fondamentale per un corretto sviluppo. Ci sono madri che manipolano il processo di attaccamento orientando l’attaccamento del bambino solo verso se stesse e impedendo di fatto che il neonato “esplori” altre possibili relazioni.

Si tratta, in genere, di donne che soffrono di insicurezza e ansia, che temono di essere giudicate ‘cattive’ o inadeguate, che hanno bisogno di rispondere ad un ruolo o di assumere quello di madre come compito unico, secondo uno stereotipo sociale, può trattarsi anche di donne insicure della propria femminilità oppure che hanno problemi col partner e allora si legano al neonato in modo esclusivo.

“In genere” continua Malagoli “queste donne hanno avuto a loro volta, madri iperprotettive dalle quali hanno ‘ereditato’ un modello di comportamento. Altra fattispecie è quella di donne che hanno avuto genitori non adeguati o abusanti in senso sia fisico che psicologico. O ancora donne che non tollerano la solitudine, che inseguono un impossibile desiderio di essere “amate” o meglio di essere sempre al centro dell’attenzione”.

Il modello di comportamento è “totalizzante”, queste donne si ritengono le uniche in grado di capire il bambino, le uniche destinate al dialogo con lui. L’allattamento prolungato, oltre i canonici sei mesi sino a due, tre ma anche quattro anni è un ‘sintomo’ piuttosto comune di un atteggiamento ipermaterno.

In altri casi l’allattamento prolungato è una forma di autogratificazione, di narcisismo: l’allattamento è mediato da sostanze chimiche uguali a quelle dell’orgasmo e può dare sensazioni molto gratificanti affini al piacere sensuale, anche se molte donne non sono disposte ad ammetterlo.

Continua la professoressa Malagoli: “Il bambino sottoposto a queste ‘attenzioni’ diventa spesso aggressivo, possessivo, ipercinetico oppure ‘evitante’ cerca di sfuggire a questo controllo che da rassicurante diventa opprimente e angoscioso. Mette in atto insomma un tentativo non organizzato di sfuggire a queste attenzioni ma è destinato a scontrarsi con i propri sensi di colpa e le minacce di abbandono della madre.
I bambini tendono naturalmente verso la sanità mentale, è bene che in situazioni simili l’altro genitore non sia complice o connivente, ma sostenga la madre nel suo difficile compito, impegnandosi a tutelare la coppia madre-bambino da una parte e dall’altra rafforzando il legame affettivo all’interno della coppia per rompere rapporti simbiotici madre-figlio eccessivi. Molti padri colludono, sono assenti psicologicamente e fisicamente o delegano la funzione genitoriale completamente alla madre”.

Spesso questi bambini sviluppano una forte dipendenza ( forzata a questo punto) dalla madre, non riuscendo a procedere in modo adeguato nelle diverse tappe di sviluppo. Come se venissero relagati in una sorte di periodo neonatale perenne: un periodo di cui la madre ha il controllo assoluto.

L’amore materno può assumere forme perverse e patologiche. Si tratta di situazioni estreme che si riconducono alla Sindrome di Munchausen, in cui i pazienti si procurano ripetutamente e volontariamente delle lesioni. Vagano da un ospedale all’altro in cerca di cure(non di rado di interventi invasivi) e di attenzioni che catturano con il racconto di storie fantastiche, spesso false.

Secondo il Trattato italiano di Psichiatria (Masson 1992) ne è nata una variante peculiare. La Sindrome di Munchausen per procura (MSbP), è di osservazione in ambito pediatrico. In questo caso è la madre a simulare la malattia del figlio o, peggio, a procurargli i sintomi allo scopo di ottenere un trattamento medico.

In altri casi la struttura di personalità vira verso la paranoia: la madre si convince che il figlio sia malato e per avvalorare la propria tesi non esita a falsificare le cartelle cliniche o ad inventare sintomi fittizi come reazioni allergiche o convulsioni.

Il caso più grave è quello in cui la madre provoca volontariamente sintomi drammatici (specialmente in neonati o bambini molto piccoli) mediante somministrazioni ripetute (e spesso negate)di psicofarmaci o lassativi, o iniezioni settiche o maltrattamenti.

In realtà questi soggetti non hanno come scopo di nuocere ai figli. Nella loro storia si riscontrano, paradossalmente, eccessive preoccupazioni riguardo la malattia o la morte e un estremo bisogno di protezione e attenzione.

Ma come uscirne da tutto ciò?

Non è affatto facile cambiare radicalmente il proprio stile di vita e spostare la propria attenzione da se stessi ad un altro così indifeso e cosi bisognoso di attenzioni. Soprattutto quando la maternità è accolta da madri giovani o non particolarmente preparate, non è così difficile riscontrare un amore eccessivo.

Ecco che tanto dovrebbe fare il partner di queste madri, sostenendole nel nuovo percorso di vita. Insieme a tutto il tessuto familiare che può fare da cuscinetto e costruire una rete salda alla quale fare affidamento. E laddove non fosse possibile, esistono tante possibilità di supporto e sostegno alla maternità.

Dai gruppi pre parto, al supporto educativo e/o psicologico dei singolo professionista che può seguire la madre anche a livello domiciliare proprio per aiutarla nel suo compito. Bisogna sono avere il coraggio di chiedere aiuto, ma soprattutto di non vergognarsene. Nessuno nasce madre o padre, lo si diventa strada facendo.

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