Quando la violenza non è vietata ai minori di 18 anni- Le baby gang

Il fenomeno delle baby gang si sta diffondendo sempre di èpiù in tutto il territorio nazionale. Quali sono le radici di questo fenomeno, come si può affrontare?


I recenti fatti di cronaca hanno acceso i riflettori su un preoccupante fenomeno che riguarda i più giovani, quello delle cosiddette baby gang. Un fenomeno, questo, che non riguarda un determinato territorio ( infatti riguarda tutto il territorio nazionale), un determinato gruppo culturale e sociale. Infatti gli appartenenti alle baby gang vengono anche da famiglie considerate “borghesi” e quindi con una condizione di vita agiata.

Il fenomeno delle baby gang è tipico dell’America(come film e serie tv ci hanno insegnato) ed i suoi appartenenti provengono dagli ambienti sociali più deboli e sono formate, spesso, dai giovanissimi latinos messicani. Invece, nel nostro Paese nelle baby gang troviamo il figlio dell’avvocato e dell’operaio: una differenza significativa.

Secondo le teorie ecologiche i fattori scatenanti dipendono dal contesto familiare ed ambientale dove vivono i ragazzi che li costringono a crescere senza sostegni affettivi adeguati e senza alcun orientamento socio-educativo. Secondo le teorie razionalistiche, invece, i giovani scelgono volontariamente di entrare in una baby gang in prospettiva di un guadagno in termini economici o di autostima.

Secondo una teoria trasversale le origini della baby gang dipendono da fattori culturali quali la vita familiare, i valori e il sistema scolastico. In base all'”ipotesi da aggressione-frustrazione”, il fenomeno delle baby gang affonda le radici nella psiche dei soggetti: quando la fonte di una frustrazione non può essere controllata, l’aggressività si rivolge verso un obiettivo debole.

Dil e Anderson effettuarono una ricerca per capire se la frustrazione giocasse un ruolo di primo piano sull’aggressività. A tal proposito scelsero tre gruppi di minorenni a cui somministrarono l’origami a tempo. I gruppi furono suddivisi in base alla frustrazione che si voleva rilevare: giustificati, ingiustificati ed, infine, il gruppo di controllo. Per ognuna di queste condizioni, il ricercatore esponeva le istruzioni in maniera particolare, di fretta e con poca chiarezza e faceva partire il tempo.

Ad un certo punto un ragazzo del gruppo, d’accordo con il ricercatore, interrompeva il gioco con una scusa, ad esempio con la richiesta di avere più tempo. Nel gruppo di giovani ingiustificati, il ricercatore rispondeva con tono duro di non poter dare altro tempo magari esponendo motivi futili per stimolare la frustrazione nelle persone.

In base ai questionari ricevuti, i ragazzi del gruppo ingiustificato pensavano che l’équipe di ricerca avesse meno abilità di loro, sapendo che ciò avrebbe compromesso la loro situazione finanziaria. Il gruppo di quelli giustificati, d’altronde, ritenne che l’équipe avesse meno abilità del gruppo di controllo. Questi risultati sostengono l’ipotesi che la frustrazione può indurre all’aggressività.

Le modalità di approccio ed esecuzione delle baby gang seguono uno schema ben preciso. Innanzitutto si instaura un contatto con la vittima dalla quale, quasi sempre per futili motivi, ne scaturisce una lite. Dalla violenza verbale, poi, si passa velocemente a quella fisica. Un ruolo importante nel rappresentare il fenomeno è assunto dai mass media che tendono ad enfatizzare i singoli episodi di cronaca magari per fini commerciali e sensazionalistici piuttosto che per dovere di cronaca e strategia è stata definita “moral panic”.

L’accento che i mass media mettono sulle notizie di cronaca relative alle baby gang, non corrisponde ad altrettanta attenzione posta dalla letteratura scientifica, a causa dell’apparente irrilevanza rispetto alla devianza generale. Ne risulta anche un atteggiamento diverso da parte dell’opinione pubblica sul problema.

Le statistiche indicano più di 44.000 atti vandalici in due anni nelle cabine telefoniche, 2.530 negli autobus d’otto città nel 1999: 3.5 miliardi di danni subiti ogni anno alle Ferrovie dello Stato.Il 25% vive nella città in cui si svolge l’attività malavitosa. Il tipo di reato comprende lesioni, violenza privata, ingiurie e diffamazione. In casi più gravi si può giungere al racket ed estorsioni, pestaggi o addirittura vere e proprie rapine.

Cosa si può fare? Come si può intervenire? La risposta a queste domande è sempre la stessa: educazione. Educazione al rispetto, alle differenze, all’altro fin da subito cioè durante il periodo scolastico. A scuola i nostri ragazzi trascorrono la maggior parte del tempo, perchè allora non dedicare un’ora a settimana al confronto ed all’ascolto?

Sicuramente i percorsi didattici e disciplinari sono indispensabili: la cultura è uno strumento prezioso per tutti noi. Ma siamo veramente certi che istruire un giovane sia la sola cosa importante da fare? Siamo sicuri che basti?

Noi operatori del sociale non ci stancheremo mai di chiedere e di volere l’educazione emotiva nelle scuole e nelle strutture frequentate dai più giovani! Non ci stancheremo mai di credere nel potere dell’educazione. Perchè tutti, ma proprio tutti, hanno il diritto di poter scegliere e cambiare il proprio percorso di vita in qualsiasi momenti.

Come abbiamo appurato, nessuno nasce violento nè interessato a compiere azioni criminose: l’ambiente di appartenza e l’influenza di quell’amico “particolare” ( che a sua volta deve essere aiutato) giocano un ruolo fondamentale per il fenomeno delle baaby gang.

Tanto però possono fare i genitori di questi ragazzini, da subito, quando si accorgono che dell’adozione di atteggiamenti e comportamenti preoccupanti dei propri figli. Questi genitori non devono avere paura di rivolgersi a professionisti per essere supportati nel proprio compito genitoriale.

In questi frangenti il lavoro di rete educativa è essenziale ed importantissimo. Tuttu i principali attori educativi devono collaborare come scopo ultimo quello del benessere del soggetto. Solo in questo modo la violenza giovanile può essere arginata e progressivamente eliminata.

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