Perdere i propri ricordi- la malattia di Alzheimer, ultime notizie
Un percorso dentro la malattia di Alzheimer secondo gli ultimi sviluppi.
Una delle patologie più diffuse che colpisce la popolazione over 65 è la nota malattia di Alzheimer che rappresenta la forma più comune di demenza degenerativa progressivamente invalidante. Il sintomo che più precocemente si riscontra è l’incapacità di ricordare eventi recenti; progressivamente insorgono altri sintomi peculiari della patologia quali:
-l’afasia;
-il disorientamento;
-alterazioni umorali;
-depressione;
-problemi comportamentali.
La patologia è stata descritta per la prima volta nel 1906, dallo psichiatra e neuropatologo tedesco Alois Alzheimer.La causa e la progressione della malattia di Alzheimer non sono ancora ben compresi. La ricerca indica che la malattia è strettamente associata a placche amiloidi e ammassi neurofibrillari riscontrati nel cervello, ma non è nota la causa prima di tale degenerazione.
Nel 1901, il dottor Alois Alzheimer, uno psichiatra tedesco, interrogò una sua paziente di 51 anni, la signora Auguste D. Le mostrò parecchi oggetti e successivamente le domandò che cosa le era stato indicato. Lei non poteva però ricordare. Inizialmente registrò il suo comportamento come “disordine da amnesia di scrittura”, ma la signora Auguste D. fu la prima paziente a cui venne diagnosticata quella che in seguito sarebbe stata conosciuta come malattia di Alzheimer.
La sua ampia e crescente diffusione nella popolazione, la limitata e, comunque, non risolutiva efficacia delle terapie disponibili e le enormi risorse necessarie per la sua gestione (sociali, emotive, organizzative ed economiche), che ricadono in gran parte sui familiari dei malati, la rendono una delle patologie a più grave impatto sociale del mondo. Sono molti gli interventi di terapia occupazionale che vengono organizzati con lo scopo di:
-stimolare le attività cerebrali;
-mantenere lo stato di salute del malato in una condizione di equilibrio;
-evitare l’avanzamento della patologia attraverso attività motorie e ricreative.
Ma, notizia di pochi giorni fa è la scoperta del meccanismo che attacca la memoria e provoca la malattia! In uno studio su pazienti, è stato scoperto da scienziati italiani il ruolo chiave di una piccola regione del cervello, l’area tegumentale-ventrale, nella malattia di Alzheimer. Se questa zona, che si occupa di rilasciare la dopamina, una importante molecola ‘messaggera’ del cervello, funziona poco, ne risente il ‘centro’ della memoria, l’ippocampo, quindi la capacità di apprendere e ricordare.
I ricercatori sono riusciti a chiarire quali siano i dettagli molecolari della mancata comunicazione tra le cellule nervose che, nel tempo, provoca perdita di memoria. Fra le funzioni della dopamina c’è la regolazione del movimento e delle risposte emotive.I risultati della ricerca, pubblicata sul Journal of Alzheimer’s Disease, potrebbero rivoluzionare gli screening per individuare i primi segnali dell’Alzheimer, una patologia che colpisce oltre 600mila persone in Italia e 47 milioni in tutto il mondo, destinate a triplicarsi entro il 2050.
“La dopamina è necessaria a tutto il cervello – spiega D’Amelio professore associato di Fisiologia Umana e Neurofisiologia al Campus Bio-Medico, il primo a capire l’importanza di questo neurotrasmettitore nell’Alzheimer – . Assolve funzioni diverse a seconda di dove rilasciata, nell’ippocampo è collegata alla memoria
Viene prodotta da neuroni che si trovano nel mesencefalo. In questo caso viene rilasciata in aree del cervello coinvolte in funzioni non motorie che vanno dalla regolazione dell’umore alla memoria. Se il meccanismo non funziona, il paziente non riesce più a ricordare quello che accada e si ammala”.
E ancora, “Un altro possibile beneficio di questa scoperta è che potrebbe portare a un’opzione di trattamento differente della malattia, con la possibilità di cambiarne o fermarne il corso molto precocemente, prima che si manifestino i principali sintomi. Adesso vogliamo stabilire quanto precocemente possono essere osservate le alterazioni nell’area tegmentale-ventrale e verificare anche se queste alterazioni possono essere contrastate con trattamenti già disponibili”.
Una notizia di grande speranza per chi lotta contro una malattia tanto spaventosa. Se da un lato la scienza compie grandi passi per individuare il modo per migliorare la qualità della vita dei malati dall’altro lo Stato non li supporta adeguatamente, nè soprattutto le loro famiglie che se ne fanno carico.
Figli, mariti, mogli, fratelli e sorelle non possono essere lasciati soli: devono poter trovare tutto il sostegno materiale,educativo e soprattutto psicologico di cui necessitano. Non basta l’intervento domiciliare di tot ore da parte di un operatore educativo, nè tantomeno le attività dei centri specializzati se questi interventi restano in questi luoghi.Serve continuità e concerto tra terapia educativa e terapia medica.
Come chiosa a questa riflessione, riporto alcuni stralci di una lettera scritta da un malato di Alzheimer alla moglie “Cara Julia, ti scrivo ora, mentre dormi, caso mai domani non fossi io quello che vede sorgere l’alba al tuo fianco.In questi viaggi di andata e ritorno, ogni volta passo sempre più tempo dall’altra parte e in uno di questi, chi lo sa? ho paura che non ci sia ritorno.
(…)Se domani io non fossi più cosciente di quello che fai per me. Di come metti i bigliettini su ogni porta perché non confonda la cucina con il bagno; di come finiamo per ridere se mi metto le scarpe senza le calze; quando ti impegni a mantenere viva la conversazione anche se mi perdo in ogni frase; quando, senza farti accorgere, ti avvicini per sussurrarmi all’orecchio il nome di uno dei nostri nipoti; quando rispondi con la tenerezza a questi attacchi di ira che mi assaltano, come se qualcosa dentro di me si ribellasse contro il destino che mi ha imprigionato.
Per questo e per tante altre cose. Se domani non ricordassi il tuo nome o il mio. (…) Se domani, Julia, non fossi più capace di dirti, sia anche per l’ultima volta, che ti amo. Tuo per sempre, T.A.M.R.”